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Autorità e potere statale

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Una delle critiche ricorrenti alle filosofie libertarie è che il libertarismo sarebbe un rifiuto a priori del concetto di autorità. Secondo chi propone questa idea il libertarismo sarebbe un ribellismo a priori, un rifiuto delle regole sociali. In realtà questa critica si basa su un assunto di base profondamente sbagliato: la confusione fra autorità e potere, nello specifico il potere statale.

Questi due concetti sono in realtà distinti, e per comprendere i principi fondamentali del libertarismo è importante capire la profonda differenza fra una generica struttura gerarchica e l’istituzione dello Stato.

Il concetto di potere statale o sovranità (potestas in latino) è molto più recente di quanto si pensi. Il primo a formulare una teoria dello stato fu infatti Jean Bodin, che nel 1576 pubblicò il suo trattato De la republique (tradotto in italiano come Dello Stato).

La differenza fra l’autorità statale e le altre forme di autorità è definita da Bodin con le parole summa potestas , massima sovranità. Lo Stato è definito come un’istituzione che non riconosce poteri politici pari o superiori, e che perciò, secondo Bodin, può emanare norme dotate di validità per tutti. Il concetto di potestas verrà poi ripreso da Thomas Hobbes nel suo trattato Il Leviatano, in cui Hobbes teorizza uno stato legibus solutus , assoluto e al di sopra delle leggi.

I caratteri fondamentali del potere dello stato sono l’originalità, l’universalità, l’esclusività e l’inclusività. Con originalità in questo contesto si intende il principio secondo il quale il potere dello stato non deriva da un potere preesistente (come un contratto) ma si giustifica da sé.  Con universalità, esclusività e inclusività si intendono rispettivamente la facoltà dello stato di prendere decisioni per tutti, di farlo senza limiti e pretendendo obbedienza da tutti e di intervenire in ogni aspetto della vita dei sudditi.

Questo modello di stato è completamente diverso da una semplice struttura gerarchica. Un’autorità, infatti, può essere dovuta a un contratto precedente, può non essere universale e può essere limitata sia nelle pretese di obbedienza che nelle facoltà di intervenire nella vita di chi la riconosce.

Un esempio di autorità di questo tipo è quella del datore di lavoro: il datore di lavoro ha dei diritti che i suoi impiegati devono riconoscere (il lavoro), ma le sue prerogative e i suoi limiti sono stabiliti da un preciso contratto che ne delimita il riconoscimento nel tempo, nel modo e nello spazio. La situazione è inoltre simmetrica, perché anche l’impiegato ha dei diritti che il datore di lavoro deve riconoscere, e sono anche questi stabiliti chiaramente nel contratto.

Un altro esempio di un’autorità limitata è una corte di giustizia privata: per funzionare ha bisogno che i suoi clienti ne riconoscano l’autorità, ma i limiti di questa autorità sono chiaramente stabiliti da un contratto liberamente sottoscritto dai clienti.

Una critica a questa visione dello stato come potere illimitato e assoluto da parte dei sostenitori delle posizioni democratiche è quella del “contratto sociale”, un’idea nata nel periodo dell’Illuminismo e resa popolare da pensatori come John Locke e Jean-Jacques Rosseau. Secondo questa idea lo stato non sarebbe un potere assoluto, ma i limiti di questo potere sarebbero stabiliti dalla totalità dei “cittadini” grazie a un patto volontario che concede potere allo Stato.

Il problema di questa visione è che il “contratto sociale” è un mito. Se gli stati veramente fossero semplicemente delle società regolate da un contratto, a cui si è liberi di aderire o meno, non sarebbe possibile essere dichiarati “cittadini” di uno stato alla nascita: perché un contratto sia valido è necessario che chi lo accetta sia in grado di capirlo.

In realtà nessuno firma un contratto per entrare a far parte di uno stato. Ciò che succede è che alla nascita si è dichiarati sudditi di uno stato e si è tenuti a pagare tasse e a rispettare leggi a cui non abbiamo mai dato il nostro consenso personale.

Lo stato “democratico” o “limitato” è semplicemente uno stato “assoluto” in cui il dittatore è la maggioranza (in realtà, i dittatori spesso sono l’élite che controlla la maggioranza). Uno “stato” che si basasse su un preciso, reale contratto, sottoscritto da chiunque vi vuole aderire, non sarebbe più uno stato ma semplicemente una compagnia privata, la cui autorità sarebbe limitata dal contratto stesso.

In conclusione, noi libertari non siamo contro l’autorità. Anzi, si può dire che uno dei cardini del pensiero libertario è che ogni essere umano ha autorità su sé stesso che tutti devono rispettare.

Ciò che vogliamo è la fine delle autorità imposte. Vogliamo che chiunque sia libero di decidere quali contratti sottoscrivere e quali non.

Vogliamo un pluralismo e una concorrenza delle autorità, dove chiunque è libero di rivolgersi a chiunque garantisca un qualsiasi bene o servizio, dalle scarpe alla difesa alle leggi stesse.


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