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L’origine dello stato

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“For 99.8 percent of human history people lived exclusively in autonomous bands and villages. At the beginning of the Paleolithic [i.e. the stone age], the number of these autonomous political units must have been small, but by 1000 B.C. it had increased to some 600,000. Then supra-village aggregation began in earnest, and in barely three millenia the autonomous political units of the world dropped from 600,000 to 157.”

A Theory of the Origin of the State
Carneiro
Science 21 August 1970: 733-738.

Per i primi 2 milioni di anni della sua esistenza l’umanità si è raccolta in piccole bande familiari e sparuti villaggi dall’effimera esistenza. Le piccole comunità di cacciatori raccoglitori, per quel che ci è dato sapere dalle evidenze archeologiche, erano autonome.
Sebbene questo possa portare a pensare che la struttura sociale di queste piccole comunità fosse elementare e che in esse si dovesse necessariamente praticare una sorta di comunismo primitivo, è il caso di sottolineare come, invece, un’analisi più approfondita delle evidenze archeologiche e uno studio comparato delle moderne società di “hunters-gatherers” porti a evidenziare le complesse relazioni sociali sia interne alla comunità che tra diverse comunità e a considerare la possibilità che il concetto di proprietà privata non fosse sconosciuto a questi nostri antenati.
Va annotato che l’idea hobbesiana di un uomo paleolitico che vive una vita “solitary, poor, nasty, brutish and short” è oramai da considerare come non supportata dall’archeologia.
L’immagine che se ne trae è, invece, di una transizione lenta verso la stanzialità e l’agricoltura, accompagnata da una crescita parallela della complessità sociale.[1]
Le prime evidenze di comunità più complesse possono risalire circa al 10.000 a.e.v. [2] e potrebbero coincidere con le prime fasi della rivoluzione neolitica.
Più avanti nella storia la sedentarizzazione portò alla formazione di aggregati sociali più ampi, eppure ancora tra 7500 a.e.v. e 5700 a.e.v. la comunità sedentaria e agricola di Çatalhöyük [3] sembra priva di strutture sociali complesse e articolate, con una popolazione che, pur avendo raggiunto la cifra di 10.000 abitanti in alcuni momenti, non sembra aver sentito la necessità di costituire unità sociali più ampie di quelle garantite dai legami familiari.
Appare evidente dalle testimonianze archeologiche che, durante queste prime fasi dello sviluppo della società umana, il diritto alla proprietà privata era in qualche modo già riconosciuto, vista l’esistenza di piccoli magazzini annessi alle singole abitazioni.
Si potrebbe dire che l’osservazione di Bastiat – “Ce n’est pas parce que les hommes ont édicté des Lois que la Personnalité, la Liberté et la Propriété existent. Au contraire, c’est parce que la Personnalité, la Liberté et la Propriété préexistent que les hommes font des Lois.” – trovi conferma nella stratigrafia di questi antichi siti archeologici.
La nascita di comunità che, in qualche modo possano, embrionalmente, essere assimilate alla comune nozione di stato può essere fatta risalire grossolanamente al 4000 a.e.v.
Cosa si può intendere in questo contesto per Stato?
Un’unità politica autonoma, che riunisca più comunità in un territorio ben definito, con un governo centralizzato capace di imporre una tassazione, di imporre corvée, di mobilitare forze militari per muovere guerra e, infine, di legiferare autonomamente, con la possibilità di sanzionare chi violi tali leggi.
Vivere in uno stato, perciò, non costituisce la condizione “naturale” dell’uomo. La consapevolezza dell’artificialità di questa struttura sociale è appartenuta ai pensatori classici, che hanno prodotto sia teorie volte a definire lo stato ideale, sia analisi volte a descrivere e tassonomizzare le realtà politiche esistenti.
Una menzione particolare va fatta in questo contesto per le figure dei sofisti politici, la cui visione è per molti versi anticipatrice di ideologie e visioni ben più recenti.
Ippia di Elide, Antifonte, Licofrone e Alcidamante sono tra i primi, in modo storicamente accertato, a evidenziare sia l’esistenza di un “diritto naturale” (physis) preesistente a qualunque ordine statuale, sancito da un nomos che altera gli equilibri naturali e spontanei che si istituirebbero tra gli uomini.
Nonostante ciò la ricostruzione storica dell’origine delle forme statali per l’antichità classica, sia romana che greca, così come quella preclassica si limita all’attribuzione del ruolo di fondatore a figure mitologiche, sia umane che divine ( o divinizzate), il cui “genio” o la cui aura sovrannaturale giustificano l’eccezionalità e la cesura temporale determinata dall’evento fondativo.
Così la fondazione di Uruk viene attribuita alla figura di Enmerkar, nipote del dio Sole (Utu), accreditato come inventore della scrittura e civilizzatore. Analogamente si potrà ricordare l’origine semidivina attribuita a Sargon di Akkad, o, in tempi relativamente più recenti e in un contesto più vicino a noi, a Romolo.
Questi miti eziologici, così come l’idea che lo stato incarni l’espressione dello “spirito” di un popolo o che la genesi degli stati sia frutto di un puro accidente della storia non soddisfano la necessità di chiarire come questa peculiare istituzione abbia potuto, come posto in evidenza da Carneiro, soppiantare qualunque altra forma di organizzazione sociale finalizzata ad esercitare il potere sovrano su un territorio e sui suoi abitanti.
D’altro canto, le teorizzazioni filosofiche, siano esse di stampo contrattualista (da Hobbes, Locke e Rousseau, fino a Rawls e Nozick) o meno, sono tese non tanto a descrivere l’origine storica dell’istituzione quanto a dare una base filosofica, appunto, alla legittimità del potere accordato allo stato, e la contrapposizione tra un ideale stato di natura primigenio e la successiva fuoriuscita da esso, in virtù della sottoscrizione del contratto sociale, non vuole essere altro se non una sorta di descrizione atemporale e astorica del processo costitutivo del potere sovrano.
Esiste, quindi, da un lato una corposa tradizione filosofica, che possiamo far risalire fino, come già detto, alla prima sofistica, a Platone e ad Aristotele, per giungere fino ai giorni nostri, che si è sforzata di dare un fondamento teorico e una radice ideale all’istituzione statuale.
Dall’altro lato, la sua origine storica, invece, non può essere descritta in modo ragionevole attraverso il contrattualismo e non può che trovare risposta se non nello studio della storia e dell’archeologia.
Esistono diverse possibili ricostruzioni del processo, basate su differenti interpretazioni dei dati che la scienza storica e archeologica possono fornirci.
Una delle prime ipotesi scientificamente fondate fu avanzata da uno dei grandi padri dell’archeologia anglosassone, Vere Gordon Childe[4], che ipotizzò che il processo di neolitizzazione, con la nascita dell’agricoltura, la sedentarizzazione e il generarsi di surplus alimentari (fenomeno a cui abbiamo accennato nel breve accenno al sito di Çatalhöyük e che può essere evidenziato, oltre che in mesopotamia e in Egitto, anche nei remoti centri della civiltà della valle dell’Indo ad Harappa) abbia consentito il crearsi delle prime forme di specializzazione e divisione del lavoro. Il nascere di professioni non direttamente legate alla produzione di derrate alimentari, secondo Childe, ha dapprima consentito la nascita di professionalità per le quali era necessario un elevato livello di specializzazione e conoscenze non facilmente acquisibili. Questo avrebbe comportato una più facile trasmissibilità di queste competenze attraverso gruppi ristretti di persone, probabilmente legati da vincoli familiari o di gruppo, e la conseguente creazione di classi sociali distinte. L’ipotesi di Childe è che la nascita di strutture architettoniche di grandi dimensioni, di templi ( Sumer), o di edifici interpretabili come magazzini ( Indo, Sumer) sia da ricollegarsi alla nascita di una classe dominante, cui, in cambio dello svolgimento di funzioni sociali evidentemente ritenute di maggior importanza e rilievo, è stato concesso di accumulare per sé una parte maggioritaria del surplus alimentare prodotto. In questo contesto possono inquadrarsi, anche, fenomeni come la nascita di un ceto intellettuale e della scrittura ( per il ricollegarsi della nascita della scrittura alla necessità di contabilizzare la gestione delle scorte alimentari, e in seguito della riscossione dei tributi, si veda anche l’opera di Denise Schmandt-Besserat[5]).
Una seconda ipotesi, affine alla precedente, ma sottilmente differente, è stata avanzata da Karl August Wittfogel, che suppone che a dare avvio al processo di centralizzazione del governo sia stata la necessità di gestire l’accesso a una risorsa fondamentale, ma necessariamente scarsa, come l’acqua dei grandi fiumi, sulle cui sponde le prime civiltà agricole si sono sviluppate ( inutile dire che questi fiumi sono il Nilo, il Tigri e l’Eufrate, l’Indo e il fiume Giallo).
L’acqua necessaria per l’irrigazione dei campi e le opere idrauliche che consentivano di convogliarla anche verso campi distanti dalle sponde dei fiumi, o l’operato degli agrimensori che, così come narrato anche da Erodoto[6], avrebbero richiesto un’azione coordinata dei membri della comunità. Tale coordinamento sarebbe stato affidato a una parte di questi membri, in cambio di una quota del surplus alimentare prodotto, che sarebbe servita per finanziare le opere e per soddisfare i bisogni di questa élite. L’esito finale sarebbe, perciò, analogo a quello precedentemente descritto.
Questa ipotesi ha subito critiche più circostanziate rispetto all’ipotesi iniziale di Gordon Childe, poiché l’evidenza archeologica mostra come le prime strutture assimilabili a uno stato precedono temporalmente la creazione di queste infrastrutture a cui Wittfogel attribuì il ruolo di catalizzatori nella formazione di governi centralizzati.
Le teorie di questo tipo riposano, possiamo dire, su due assunti: le piccole comunità rinuncerebbero volontariamente a quote di sovranità sempre crescenti e il loro egualitarismo interno si spezzerebbe in seguito all’emergere della divisione e specializzazione del lavoro.
Il retroterra teorico di questa idea può essere ricercato nell’opera di Durkheim [7], che vede proprio nell’emergere della divisione del lavoro e nella conseguente crescita della complessità sociale il tratto distintivo delle società avanzate.
Non si spiega, però, cosa porti a questa rinuncia da cui poi scaturirebbe la genesi dello stato.
Per citare Cervantes: “La libertad, Sancho, es uno de los más preciosos dones que a los hombres dieron los cielos; con ella no pueden igualarse los tesoros que encierran la tierra y el mar: por la libertad, así como por la honra, se puede y debe aventurar la vida.”.
Proprio per questa carenza esplicativa (cosa spingerebbe le piccole comunità a rinunciare a un bene così prezioso come la libertà e l’autonomia?), a queste teorie “volontaristiche”, si contrappongono quelle, ben supportate dall’archeologia, che vedono nella violenza e nella guerra il meccanismo di accentramento del potere e di genesi delle forme di governo più complesse.
La moderna teorizzazione di una genesi conflittuale delle istituzioni sociali può essere fatta risalire in primis al pensiero di Herbert Spencer, che concepisce una evoluzione delle forme sociali da un primo stadio fortemente gerarchizzato e militarizzato via via verso la moderna società industriale, fondata su obbligazioni sociali mutue contratte su base volontaria.Alle posizioni di Spencer fanno eco, nel continente le posizioni di Ludwig Gumplowicz, Gustav Ratzenhofer,e di Franz Oppenheimer.
In particolare, quest’ultimo, in contrapposizione al costrutto teorico del contratto sociale, esplicitamente sostiene l’idea che lo stato possa sorgere solo per effetto della sottomissione di alcuni a vantaggio di altri.
“The State, completely in its genesis, essentially and almost completely during the first stages of its existence, is a social institution, forced by a victorious group of men on a defeated group, with the sole purpose of regulating the dominion of the victorious group over the vanquished, and securing itself against revolt from within and attacks from abroad. Teleologically, this dominion had no other purpose than the economic exploitation of the vanquished by the victors.” (Oppenheimer, The state,New York 1975)
Esemplare, in questa prospettiva può essere la visione prospettica del processo che ha portato alla nascita dell’Egitto faraonico [8].

Narmer Palette

recto e verso della palette di Narmer

Le rappresentazioni della Narmer Palette, e il graffito che rappresenta la sottomissione di un capo rivale da parte del faraone protodinastico Scorpion I lasciano solo intravvedere il lento processo di espansione del potere di quei capi locali che nell’arco di numerose generazioni porterà alla nascita della civiltà e dello stato egizio. E’ vero che, in altre rappresentazioni, come la decorazione della Scorpion Macehead, sono raffigurati atti pacifici e riconducibili proprio alla creazione di quelle infrastrutture idriche che tanta importanza hanno nella tesi del Wittfogel, ma è altrettanto vero che tutta l’ideologia faraonica si incentrava sulla funzione di garante dell’ordine cosmico del monarca e l’immagine del faraone trionfante sui “nove archi”, sul nemico che minaccia militarmente l’integrità e la pace che regna all’interno dei domini faraonici, concordano maggiormente con la visione coercitiva e militare della genesi dello stato sostenuta da Oppenheimer.
Carneiro, nella sua analisi, evidenzia, però, che, sebbene la guerra e la violenza possano essere state un fattore predominante nella genesi di strutture e istituzioni sociali complesse, non è possibile attribuirgli il ruolo di fattore unico, anche perché non sarebbe difficile osservare che, con le parole di Carneiro stesso:“after all, wars have been fought in many parts of the world where the state never emerged. Thus, while warfare may be a necessary condition for the rise of the state, it is not a sufficient one.”.
Si devono, perciò, identificare quali fattori addizionali hanno fatto sì che il conflitto tra diverse comunità, nei contesti opportuni, abbiano portato al sorgere delle prime civiltà urbane e delle prime forme di governo centralizzato. (segue)

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NOTE:

1. The Original Affluent Society, “Time, change and the archaeology of hunter-gatherers: how original is the
Original Affluent Society’?”
,Political and territorial structures among hunter-gatherers,Palaeolithic Societies Europe 2ed (Cambridge World Archaeology),Gamble,Cambridge University Press; Revised. ed. (2008 aug.)

2. Klaus Schmidt : Sie bauten die ersten Tempel. Das rätselhafte Heiligtum der Steinzeitjäger. München 2006, ISBN 3-406-53500-3, tr. it. “Costruirono i primi templi. 7000 anni prima delle piramidi”, Oltre Edizioni,2011,ISBN-13: 978-8897264002
3.http://www.catalhoyuk.com/
4. V.Gordon Childe, The Urban Revolution,The Town Planning Review, Vol. 21, No. 1 (Apr., 1950), pp. 3-17
5. Gianluca Bocchi, Mauro Ceruti, Origini della scrittura, Genealogie di un’invenzione,Bruno Mondadori,2009,ISBN:9788861593817
6. “Quando il Nilo inonda il paese, dalle acque emergono soltanto le città, tutto il resto del territorio egiziano si trasforma in una distesa d’acqua. Il Nilo quando è in piena non inonda solo il delta ma anche il cosiddetto territorio libico e in qualche luogo quello arabico fino a una distanza, da entrambe le sponde, di due giorni di viaggio in media. Sesostri ripartì il territorio fra tutti gli Egiziani assegnando a ciascuno un lotto di forma quadrangolare di uguali dimensioni, poi si garantì le entrate fissando un tributo da pagarsi con cadenza annuale.. se a qualcuno il fiume sottraeva una parte del lotto c’era la possibilità di segnalare l’accaduto presentandosi al re di persona..questi inviava dei tecnici a verificare e a misurare con esattezza la diminuzione di terreno affinché il proprietario potesse per il futuro pagare il tributo in giusta proporzione.. Scoperta, mi pare per questa ragione, la geometria passò poi dall’Egitto in Grecia..”.. Erodoto (Le storie – libro II)
7. Émile Durkheim,De la division du travail social : étude sur l’organisation des sociétés supérieures (1893)
8. Toby A.H. Wilkinson,Early Dynastic Egypt, 2001. David Wengrow,The Archaeology of Early Egypt: Social Transformations in North-East Africa, c.10,000 to 2,650 BC,2006.


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